Premio letterario "Enrico Furlini"

"Enrico Furlini"

Vincitori
Edizioni passate del premio

In questa sezione potete trovare tutte le poesie vincitrici delle edizioni precedenti, suddivise nelle varie sezioni per le ultime edizioni.

Il Premio Letterario nasce come stimolo al raccoglimento interiore, alla meditazione su se stessi attraverso gli stimoli percepiti dal mondo che ci circonda. Per ogni edizione è stata creata una Rassegna dal titolo "Riflessioni su..." in modo da focalizzare l'attenzione su temi rilevanti (vedi Progetto Bioetica). Anche la Silloge dedicata ad ogni edizione del Premio riporta, per analogia, il titolo "Riflessioni su..." e, di volta in volta, il focus specifico. Riflettere porta con se il significato di RE (di nuovo) e FLECTERE (piegare). Facendo un paragone con la fisica, noi intendiamo con questa iniziativa riportare, riverberare il pensiero che spesso fuoriesce dalla nostra mente e si perde nel vuoto che sta fuori di noi, al centro del nostro cuore. Soffermarsi sui propri pensieri, riportando l'attenzione su noi stessi: questo è lo scopo finale delle nostre "Riflessioni su...".

M’ADDORMENTO

Vitale Rosario | Salvezzano Dentro (PD)

Io ho una nave dei pirati,
nell’armadio.
Quando mamma e papà gridano
me ne scappo
e mi rinchiudo dentro;
sotto, nell’armadio, ci sono le coperte,
e io mi infilo in mezzo,
oppure sotto sotto;
io lì, che non si vede niente,
vedo i pirati e loro gridano,
e poi ridono e poi cantano,
e hanno pappagalli colorati
e qualche volta sparano,
ma solo in aria, per far festa.
Io, qualche volta,
nell’armadio,
m’addormento.

Per la prima volta dopo 13 anni, il primo premio nella sezione storica della poesia inedita viene conferito ad una poesia - filastrocca. Uno stile allegro e fanciullesco, un messaggio potente trasmesso attraverso l’immaginario fiabesco. E chi non si è rivisto in quel meraviglioso armadio, che si trasformava nello sgabuzzino o nello spazio nascosto sotto il letto per sfuggire alle grida di mamma e papà. Un messaggio forte, forse in riferimento alla violenza sui minori, argomento drammatico e molto dibattuto. Abbiamo bisogno di recuperare i nostri ragazzi dagli armadi e donare loro più bellezza.

UCCIDERSI NON È GARBATO

Scali Eleonora | Arcole (SP)

Guerra,
doppia erre come errore, terrore, orrore.
Orrore nella scorrettezza delle mine
nascoste sottoterra
che falciano braccia e gambe innocenti.
Errore nelle barriere spinate
poste ai confini di arroganti nazioni
dalla memoria corta
e nell’emorragia di anime,
che affogano nel mare dell’indifferenza
a bordo di bagnarole fatiscenti.
Terrore nella prepotenza di carri armati
che si fermano davanti a uno studente
ma schiacciano la democrazia.
Guerra miseramente giustificata:
tribale, di razza, religione,
di indipendenza e secessione.
Guerra civile,
la più ingiustamente battezzata,
perché uccidersi l’un l’altro
non è educato,
né cortese,
né garbato.

Sulla tematica della guerra, non facile da affrontare, non semplice da rinchiudere in pochi versi. Si fa riconoscere fra tante per la retorica interessante legata a quella “doppia erre”, originale quanto onomatopeica. Si sentono i cingolati muoversi e i colpi a ripetizione delle mitragliatrici. Ma c’è molta riflessione in questo lavoro, molta antropologia e sensibilità: dalla “scorrettezza delle mine” alle “arroganti nazioni” fino alla “emorragia di anime”. La chiusa è introspezione portata all’apoteosi, con una delicatezza che fa a pugni con le immagini strazianti della prima parte, così in antitesi che fa addirittura sorridere, con un messaggio di pace velato, ma non troppo.

UN PAESE CHE TREMA

Tangocci Anna | Montecchio di Valle Foggia (PU)

Il mio paese piega la testa.
Le grondaie cigolano sui brevi terrazzi
che impudichi mostrano gli arrugginiti ferri
Il mio paese sta lassù,
ferito, frantumato violato
dalla forza della terra che trema.
In ogni tempo la mia gente ha risposto
alla prepotenza della Natura
con la tenacia di chi non ha scampo.
Ha raccolto le pietre e rimesso su i muri,
ha ricostruito le arcate
cercando le chiavi di volta
fra i sassi e le colonne spezzate…
Oggi non è così.
Come ladri son partiti
Fuggivano i cortili tiepidi della loro infanzia
per raggiungere città diverse e diverse voci
Lassù son rimasti quelli che non sanno andare,
per gli anni o per amore.
Chi fugge salva soltanto se stesso.
Chi rimane sa che gli altri non torneranno
a cogliere il gemito dei muri cascanti.
Soli, risalgono l’intrico delle strette vie
che tengono insieme il grumo di case.
Là dentro cova la memoria del tempo.
Là dentro sopravvive un ordine delle cose diverso,
che sta nei campi, nelle strade, nelle famiglie.
Nell’oro dell’olio che scende a filo sul pane
nel vino nuovo che ogni anno, miracolosamente,
sprizza schiumoso dalla cannella.

(Alle mie Marche
dove la terra trema, il cuore mai)

Un tema originale per esprimere tanta tristezza e forse un po’ di rabbia. Rabbia nel vedere i piccoli centri collinari abbandonati a pochi solitari anziani che rappresentano la storia di quei luoghi, da sempre e per sempre. La descrizione dello strazio al termine del sisma, con le strutture divelte e squarciate, è disarmante, così come l’invettiva verso coloro che fuggono dalle proprie radici per “cercar fortuna”, che diventano ladri, ladri di un passato che ormai non è più loro. E’ straordinaria l’immagine finale, descrizione degli antichi valori della famiglia attraverso la natura, quella natura vissuta insieme, nel momento rituale della vendemmia, apoteosi della aggregazione per molte generazioni passate.

UN’ALTRA VOLTA (ai caduti della guerra Russia-Ucraina)

Serpe Stefania / Cosenza | Arcole (SP)

Quale canto hai levato
o mia colomba:
intesse di dolore
il cuore degli astri
Ti cerco tra lo zolfo
nell’inferno declinante e folle
ove la morte con violente grida
sparge, in circolo, la propria insidia
mentre ombre di trapasso
calano sul silenzio.
Se volassi un’altra volta
non ti strapperei dalla vita
così come ho fatto
in un mattino senza colore
quando dissetavi il terrore
ed il mio stesso patire
su chiara acqua di fontane
che ora più non germogliano.
Ed eccomi perduto!
Accasciato al suolo sotterro
la giovinezza, il fucile di sangue
nella nera fossa dove giaci
col becco infiorato d’ulivo.

Dallo stile coinvolgente e profondamente toccante, con immagini adornate di una tristezza che lascia attoniti. La guerra porta a riflessioni talvolta straordinarie ed è questo il caso di una poesia riflessiva, meravigliosamente straziante, in cui l’autore come la colomba della pace, si descrive nel momento in cui, probabilmente colpito da un proiettile, si accascia al suolo e, nella metafora della morte seppellisce se stesso, con il fucile intriso di sangue e la stessa immagine della pace, la bellissima colomba “col becco infiorato di ulivo”. “Se volassi un’altra volta”, se tornassi indietro, perché ora, al punto estremo, prima dell’ultimo respiro, ha compreso il vero significato della vita: ed è libertà dalla prigione del ricordo.

HO VISTO PIANGERE LE ROSE

Donà Franca | Cigliano (TO)

Sono io l’albero ferito
la gola rossa delle foglie
l’odore di radici alle narici
ferma in questa pioggia
che non spiove e urla rabbia,
e urlo rabbia e grido di dolore
al vento che percuote e duole

costringimi di seta gli occhi
ch’io non pianga d’altri pianti
ch’io non veda il fiume delle morti
le bare dentro ai flutti sotto i ponti
sventrati gli orti, i sepolcri dalle viscere
le croci abbarbicate sopra il mogano del viaggio
- è di spine il pianto delle rose-

(alluvione in Piemonte ottobre 2020)

Ricca di empatia espressa attraverso i canali della rabbia e tristezza esasperati dalla immedesimazione dell’autrice nel mondo stesso che lei vede crollare. E diviene un albero ferito e sente, e lo fa sentire anche a noi, l’odore delle radici degli alberi divelti dalla furia dei flutti che ora trasportano, in una immagine quasi blasfema, le bare dissotterrate dalla furia della natura che può essere tremendamente ostile e crudele. La richiesta, simbolica, di essere costretta a non guardare quello scempio, si traduce in una filantropia profonda e di reminiscenza Junghiana, descritta magistralmente nella frase “Ed io sono te e quello che io vedo sono io”, tratta da “Echoes” del gruppo rock britannico Pink Floyd scritta nel 1971.

SORPRESA E MERAVIGLIA

Lozzi Barbara | Lomagna (LC)

Sedersi a riva,
le mani nella sabbia bagnata
i piedi solleticati dalle onde spumose.
Profumo di alghe e di sale.
Camminare per ore e voltarsi a guardare le orme
scomparire, come vorremmo accadesse
per i nostri errori.
Raccogliere conchiglie e tesori.
Alzare gli occhi al cielo e coprirsi
dai raggi del sole con il dorso della mano,
intravedendo i vortici di gabbiani.
Aprire gli occhi e...

vedere la propria stanza.
Sorridere ingenuamente,
mentre dall'orecchio allontaniamo la conchiglia.

Straordinaria la tecnica cinematografica utilizzata dalla autrice che a tutta prima ci porta direttamente dentro un quadro naturale così vivo da sentirne gli odori, le sensazioni dell’acqua su mani e piedi. L’immagine è così realistica che quel “coprirsi dai raggi del sole col dorso della mano” ci riporta mille volte bambini sulla spiaggia a compiere lo stesso gesto. Ma poi ecco l’originalità e bellezza erompere, dopo una dolcissima sospensione, “e…”, per restituirci una realtà che non si pone in antitesi emozionale ma in perfetta empatia. Non c’è rimpianto per il tempo che passa ma un sorriso nel prendere coscienza che quel suono della conchiglia è stato la spinta emozionale per vivere un momento di sorpresa, assai raro nella vita contemporanea.

PALME DI SHIRAZ

Spagnolo Rosalba | Bergamo

Intrecciate i vostri rami
o palme di Shiraz
e fate scudo a Sakineh,
perché il mondo non senta più
il sibilo delle pietre
scagliate contro vittime indifese
e le urla laceranti
di Safya, Amina
e Aisha, con i suoi tredici anni.
Urla che torturano
il silenzio della nostra coscienza,
lapidata
dalla vergogna dell'indifferenza,
che si accende
ogni volta
che i riflettori si siano spenti
sul dedalo di vicoli dell'Iran.

Scorre rapida e in silenzio come quella vergogna attraverso il “dedalo di vicoli” di una realtà straziante, un mondo non umano, fatto di violenza e dolore. Ma è un dolore lacerante, profondo, che urla vendetta da moltissimi di anni. L’accostamento della nostra coscienza alle vittime avviene attraverso la stessa lapidazione, ma per noi le pietre divengono la vergogna dell’indifferenza. Lascia il fiato sospeso, un retrogusto amaro che l’autrice ci fa sentire proprio nel momento in cui si mette in moto il meccanismo psicologico della rimozione, quando si spengono i riflettori, quando ognuno torna al proprio quotidiano, intanto in Iran, donne continuano a morire.

LACRIME DI RUVIDO CRISTALLO

Siani Stefania | Cava dei Tirreni (SA)

Lì,
dove il vento soffia ancora forte
e le lacrime gelano
in cristalli ruvidi e brillanti
il mio animo vaga
inquieto e stanco.
Tra le pareti alte
dove il sole non tocca terra
e la notte rincorre
il suono dei violini,
il cuore rallenta la sua folle corsa.
Tra sentieri innevati e solitari
ancora mi aggiro,
cercandoti nel profumo
della legna arsa,
nelle gocce attaccate ai rami spogli,
nel fragore delle acque gelide
che a valle si gettano nel mare.
Dove sei, luce?
E piango lacrime
che non arrivano più al cuore
e la notte è
unica testimone.

Ermetica, ricca di immagini che alternano un gioco di luce-buio. Ma è un buio intimo, raccolto in cui la tristezza lascia quasi spazio alla rassegnazione. Una luce simbolica, la vita, un amore perduto? Un concetto ricco di significati che l’autrice ha voluto gelosamente tenere per sé, donando forse le sue lacrime alla notte, unica testimone della sua sofferenza.

OCCHI GELATI

Chisari Pino | Monterotondo (RM)

Lascio mi scorra addosso come acqua
il tempo fascinoso ed ambiguo della paura,
che scivoli via nella fuga discreta delle ore
e fingo d’ignorare l’eco sorda ed ostile
che emana la mancanza di rumori
priva della rassicurante abitudine
ch’è figlia ambigua e sommersa della noia.
Tempi duri, ostinati, di pelle ruvida,
d’un tratto vuoti di quell’intruglio posticcio
che riempiva ieri la sacca d’ogni attesa,
quella ordinaria, ormai relegata a memoria.
E forse è un modo inedito di confrontarsi,
inventato da un dio capriccioso,
fanciullo, dimentico della parola data
allorché scelse d’alitare la vita nel fango?
Preferisco ignorare l’orrore profondo
di questi giorni, l’urlo che non sgorga da gole
che s’inabissano strozzate senza una mano amica
cui affidare le ultime, innominabili voglie:
qualcuno sarà certo in grado alla fine,
quale che questa sia, vedremo,
di fare il bilancio di danni e perdite,
ma nessuno saprà mai davvero dar di conto
del prezzo sborsato; perché è disumano
guardare cosa accade se gli occhi son gelati.

Dai versi ricchi e stilisticamente accattivanti, si snoda attraverso un percorso in cui il detto ed il non detto si alternano, con un certo senso di attesa, di sospensione. Un quadro ascrivibile ai nostri occhi gelati dalla paura, in un momento storio di profonda instabilità emozionale, quel “modo inedito di confrontarsi” riporta all’angosciante periodo di inizio 2020, dove la “mancanza di rumori” rimbombava nelle nostre orecchie un silenzio cupo e disarmante. Nei versi di Chisari Pino c’è tutta la storia drammatica della pandemima, dallo sbigottimento alla solitudine dei caduti alla richiesta di un riscatto e, infine, la consapevolezza che gestire un evento così traumatizzante con lo strumento della paura è certamente disumano.

INDIPENDENZA EMOTIVA

Radu Giorgia | Volpiano (TO)

Ci ho ragionato molto sopra
ma poi ad ogni conclusione
sembra che qualcuno scopra
una nuova oscura indecisione.
E non faccio luce ma mi scaldo
fino a bruciare, scotta la fronte
di febbre bollente, aumentando
come all’alba il sole all’orizzonte
Questa luce fa bene, le ossa
si scaldano, muscoli e tendini
si muovono, e l’idea si infossa
perché tolgo porte dai cardini
pur di non chiuderle e spalanco
finestre per far luce passare
ciano celeste e morbido bianco
nessuna tenda potrà oscurare.
Tutto brilla e lo fa immensamente
sento il calore che scioglie catene
i polsi liberi e col tempo niente
mi impedirà di poter stare bene
nemmeno la gente che, oscura
vorrà piantarmi dubbio più strano
perché accetterò ogni paura
ma l’odio terrò da me lontano

La sensazione di freschezza che emanano i versi inonda l’aria circostante e permette di percepire sulla pelle quel senso di libertà e di indipendenza che l’autore ci descrive. Il messaggio educativo è molto intenso e diviene quasi uno slogan la chiusa con quel magnifico “accetterò ogni paura ma l’odio terrò da me lontano”. L’uso stilistico della rima alternata unitamente alla figura retorica dell’enjambement, creano uno spazio continuo ed intrecciato che arricchisce il senso di gioia contenuto nella poesia. La felicità è una emozione molto coinvolgente e non facile da tradurre in versi, ma Giorgia vi è riuscita appieno restituendoci con umiltà la sua visione positiva della vita.

E GUARDO… UN AQUILONE

Distefano Francesca | Seliceto (FG)

In un pensiero in lacrime vorrei sentire un respiro dolce che mi accarezza il cuore,
e vedevo il tuo sorriso nei miei sogni spenti che mi porta luce.
E quando penso a te e a quei bei momenti
E guardo un aquilone nel cielo blu, lontano, lo vedo scomparire,
e guardo nel riflesso non son più io adesso, son cambiata spesso.
E mi hai lasciata sola, indifesa contro il mondo, senza protezione.
Tu eri il mio faro e l’unica direzione.
E mi hai insegnato tutto come ridere e cadere e rialzarsi.
Tu eri tutto per me e mi bastava un saluto o un cenno, invece no,
te ne sei andato senza salutare.
E guardo un aquilone nel cielo blu, lontano, e ripenso a te
Che mi guardi dal cielo della stella destra del mio cuore spento,
tu per me sei lì, e io ti guardo da qui, con le lacrime agli occhi.
E spero tu un giorno possa essere fiero di quella che sono.
Per me l’unico rimpianto è non averti dato quello che potevo, come hai fatto tu,
e non te l’ho detto ma per me tu eri come un padre…
Ora non posso più farlo.
Vorrei davvero riaverti qui con me.
E cerco un aquilone nel cielo blu, lontano, ma non lo vedo più,
forse è arrivato da te,
se guardi bene ti ho scritto ti voglio bene nonnino mio.

Il sentimento e le emozioni richiamate al giovane dall’immagine di un aquilone han saputo volare oltre il tangibile… varcando la soglia del cuore… per la gratitudine oltre l’infinito. (Antonietta Natalizio) Menzione per la toccante testimonianza emotiva, che fa vibrare corde universalmente diffuse: semplici parole e immagini evocative che in modo diretto, schietto e umano contagiano con la loro pregnanza (Marco Cavallo)

L’ALTRA PARTE

Distefano Noemi | Saliceto (FG)

Quando tocchi il fondo puoi solo risalire,
lo devi a te e non è apparire.
Hai detto basta, chiudo tutto in una stanza,
apro la porta ad ogni mia mancanza.
Tu e qualche pezzo di carta
che solo ti consola, tra lacrime in mezzo a mille
lame nelle grinfie delle brame di chi tace e poi rimane.
Nessun rancore, il cuore è l’orologio e l’orgoglio il suo motore.
Siamo il bimbo e il suo aquilone, perdiamo il filo conduttore
non so se mi capisci, perdersi riprendersi e non ammettere l’errore.
Sai come ci si sente, cadere nel fuoco ardente degli occhi di chi mente,
sei ghiaccio repellente solo il dolore ti consente l’albore.
Sarò con te fino all’imbrunire, ad aprire una porta non importa come
mi basta il tuo nome nell’illusione di un mondo altrove.
Non sei sola ti ripetono,
la sicurezza non è chiarezza
oggi ci sei domani non saprai.
Forte, nata per questa sorte,
cos’è la paura, follia pura di chi ha coraggio
ma illuso da un miraggio perde sassi al suo passaggio,
non si torna indietro, non si misura il passo ogni metro.
Siamo fiori calpestati,
tramonti mai amati, estati mai vissute, foglie mai cadute,
nel sogno infranto di chi ha pianto per sostenere e dar da bere alla vita che le mantiene.
Sei fragile e tenace,
resisti finché sei qui, ne vale la pena sorridere e fregarsene.
Sai, un fiore nasce dopo la grandine,
inseguito dalla luce che lo induce a crescere può scegliere se appassire
o seguire la sua direttrice.

Una sottile linea fra tristezza, amarezza e desiderio di affermazione pervade tutta la poesia. E’ bella l’immagine del bimbo col suo aquilone e spesso anche noi come Noemi, ci sentiamo in balia del vento e dell’incertezza giovanile di quel bimbo che poi però come il fiore dopo la grandine, può scegliere, spinto dalla potente immagine della luce vivificatrice, se appassire o seguire la sua direttrice, il futuro. Un bel messaggio educativo di speranza rinchiuso in una realistica coltre di tristezza, tipica dell’adolescente che cerca di affermarsi.

ARIA DI LIBERTÀ

Trigiani Chiara | Foggia

Immagina di correre in un prato,
pieno di fiori
di tutti i colori
sentire il vento contro,
il sole che riscalda la tua pelle
e il profumo di terra bagnata e di camomilla
la sensazione di libertà che ti circonda,
sdraiarsi sul verde e guardare il cielo
e svegliarsi con quel mix di malinconia e felicità,
quell’abbraccio mancato,
in una serata piena di stanchezza
sei un’ancora di salvezza
in quelle giornate di tristezza.

Per aver descritto la gioventù attraverso i sensi tanto da sembrare presenti alla lettura: il calore sulla pelle ed "il profumo di terra bagnata e di camomilla". Leggera, così viva da poterne toccare le sensazioni. Riporta ai primi versi del brano “Sorrow” dei Pink Floyd del 1987: “Un uomo si sdraia e sogna verdi campi e fiumi”, e dopo…“C’è un vento incessante che soffia in questa notte… e il silenzio che è molto più forte delle parole, di promesse spezzate”. Il tema del tempo che passa, della gioventù che non tornerà più. Il mix di malinconia e felicità è tutto umano ma Chiara riesce a far pendere la bilancia verso la bellezza, grazie a quella meravigliosa immagine dell’ancora di salvezza. (APS Tavola di Smeraldo)

IL SUDORE CI SARÀ PANE

Screti Vincenzo | Sermoneta (LT)

Preme l’apnea rossa di luglio
già presente sul pendio scosceso
e senza indugio colora le ginestre
che osano abbellire le vertebre dei sentieri
dove spanciano muri a secco
e templi adornati da rovi
Il mattino accende le parole
dei carretti ai cortili
tra muri lebbrosi
vecchi in estasi a rollare tabacco
e il vociare delle cucume sul fuoco,
mentre passeri forano fichi
ricuciti poi, dal chiacchiericcio degli insetti
Ai campi, raggi
scavano nei fianchi dei covoni
tane segrete per pensieri
in un cantico di cornacchie
che chiede convivenza
sui viottoli impastati
come pane cotto al fuoco.
Il suolo già grida forte
stramazzano a terra al delirante trionfo
gusci di cicale
e spighe che sembrano pepli lavorati nell’oro,
Mentre il sudore è tatuato sulla pelle
come sidro di verderame
la falce è sempre li a reggere il peso,
ci sfameremo della polvere di questa terra.

Ricca di suggestive immagini come un ricchissimo quadro fiammingo, fatta di versi che si alternano come il suo incedere lento e guizzante allo stesso tempo, a riprendere il ritmo del lavoro incessante dell’uomo eternamente immerso nella natura di cui fa parte e ne è parte. Il tempo non trascorre, è quasi immobile come quella “apnea rossa di luglio” e la necessità del ripetersi senza fine del lavoro di tutta una coralità di esseri animati è cristallizzata in quel sudore, ”tatuato sulla pelle” come a siglarne la sua condizione imprescindibile ed immutabile. E’ il grande tema dell’uomo che scende a patti con la natura, la lavora e la trasforma in una convivenza universale. E come lui il sole, le ginestre, i passeri e gli insetti, in un corale affaccendarsi senza fine…

E UNA LUCE PIOVE

Ruscitti Claudia | Montesilvano (PE)

In questa serra malata d’ingordigia
sommessa si leva la voce delle onde,
rauca di plastiche fluttuanti.
A volo di gabbiano il desiderio sfuma
dubbi grigi, scalando cieli di bitume,
in un vento di polveri sottili,
disordinando l’aria.
Randagio e nudo nel tuo cuore torno,
natura, nel porto che più mi assomiglia,
dove non giunge impostura
e tra livide spume si sciolgono
l’ali del dio che non sono.
Mi fondo in te, della tua essenza forgiato,
libero dall’inganno degli idoli, spirito
che distilla gocce di amore mancato.
E una luce piove, bagliore di spiagge solitarie,
a spegnere il lungo affanno,
curando con clandestine speranze
le tue ferite, il mio dolore,
muro d’ ombra che cela l’orizzonte.

Sono quelle “clandestine speranze” che donano all’intero componimento la luce, la luce che da sempre è simbolo di vita eterna, del bene ancestrale, della sconfitta dell’oscurità…la perdizione. Un lavoro magistrale, ricchissimo di simboli cesellati con mani d’artista. La Terra diviene serra, spazio chiuso e privato di bellezza, imbruttito da “plastiche fluttuanti” e “cieli di bitume”. Ma da questo animo gentile che ne raccoglie il grido di dolore, nasce la forza interiore, fatta di armonica com-passione, che si tramuta in lacrime curative.

MI SONO RICORDATA D’INFATUARMI

Casadei Monia | Cesena

Oggi, senza preavviso alcuno,
mi sono ricordata d’infatuarmi.
Non è stato difficile, peraltro.
Serviva solo il tempo d’uno sguardo
e il mondo s’è dischiuso nell’incanto.
Mi sono ripromessa di guardare,
d’innamorarmi ancora d’una foglia,
di perdere la testa per il cielo
e il mare e l’orizzonte ed il mistero.
Mi sono infervorata d’un cipresso,
d’un fiore azzurro di cui non so il nome,
d’un gesto, d’un sorriso, d’un uccello,
persino del profumo del mattino.
Mi sono intenerita d’improvviso.
E’ stato sufficiente un solo sguardo
e il mondo m’ha animata di sorprese:
un nonno ha zampillato una risata,
un fiore ha sgominato il lastricato,
un nembo in lontananza s’è commosso
e il gelsomino è erotto in fioritura.
Mi sono entusiasmata tutto il giorno,
come incantata d’essere nel mondo,
e giunta sera, ancora più invaghita,
mi sono sdilinquita nel tramonto.
La notte m’ha dipinta di stupore
ed ho impaniato gli occhi nell’amore.
Domani al mio risveglio ho tanta voglia
di essere stregata nuovamente.
Prometto d’invaghirmi tutti i giorni
degli ordinari incanti della vita.

Nella sua apparente semplicità erompe con l’energia vitale di un bambino. Ma la scelta dei vocaboli e il suo ritmo cadenzato e sorridente non sono certo frutto di una penna distratta od inesperta: il verso, brillante endecasillabo, risuona di pace e gioia ad ogni rientro, a spennellare di luce e vitalità tutto il componimento che potrebbe divenire un canto. Straordinaria la scelta del verbo impaniare per indicare il tuffo che gli occhi fanno nell’amore trasformato in materia vischiosa, la pania appunto, da cui difficilmente ci si stacca.

BISOGNO DI TERRA

Chisari Pino | Scurcola Marsicana (AQ)

Mi lievita sempre dentro
questa terra, antica sorella
mollemente adagiata
ad accogliere il primo sole.
Bianchi scheletri contorti
pietrificano l’aria. Polvere.
Paziento che il mio giorno
completi la sua ragione
dando l’unico, autentico contributo,
voglio rovesciare la mia zolla
sentire un aratro che spacca
un seme che penetra
le sue insaziabili radici nelle ossa.
Voglio crescere
la mia carne di spighe.

Un incredibile e vero rapporto con la natura, vissuto a 360 gradi. Un po’ dissacrante ma autentico, in cui l’autore diventa la natura stessa e percepisce la vera trasformazione: divenire concime per le spighe che crescono nella propria carne e sentirne le radici penetrare le ossa.

OSCURO RICHIAMO

Chisari Pino | Scurcola Marsicana (AQ)

Ci sono pascoli grandi
nel cuore della terra
ed il fieno tagliato di fresco
profuma d’antiche violenze.
L’oscuro richiamo penetra
ancora fremiti alle narici:
gli occhi agli spazi perduti
– un attimo – e l’anima verde
palpita d’occulti animali.
Un ringhio sordo e minaccioso.
Dentro, una foresta aspetta.
Amo la dolorosa attesa del ritorno
la pioggia che lava le speranze;
mi piace pensare ai lunghi
silenzi d’un fiore nato
incredibilmente sull’asfalto.

Raccoglie in se tutta la tematica leonardiana del rapporto uomo-natura. L’uomo per quanto tenti invano di dominare la natura, non riuscirà mai a dire l’ultima parola. Ed ecco i “lunghi silenzi d’un fiore nato incredibilmente sull’asfalto”. Non si tratta di dominanza… il segreto è la convivenza.

ANNUALI CADENZE, PARTE IX

Frignani Daniela | Stellata (FE)

Sono io la farina che nutre gli uomini
ma tu hai ordinato i processi
dissodato questa terra brecciosa e arida
strappata alla roccia e alla neve
mi hai conservata e piantata
nutrita della tua acqua pura
difesa dalle malerbe,
tu mi hai reso forte e raccolta
hai sperato, hai temuto, hai gioito alle intemperie.
Poi macinata con il tuo sudore e il tempo,
la tua pietra dura ha reso farina così fine
il più magnifico dei frutti della terra.

Poetica e meravigliosa l’immagine della farina che parla all’uomo raccontando la sua vita e le sue vicissitudini. Il tema del lavoro per il sostentamento vitale è qui dominante ed è vissuto con pacata armonia. Un perfetto connubio fra uomo e natura nel rispetto delle parti e soprattutto amplificando il risultato.

LA MIA TERRA

Biasion Martineli Maria Teresa | Luserna San Giovanni (TO)

Ha il sapore dei boschi,
la mia terra,
del verde dei pini e degli abeti,
del candore delle nevi eterne,
negli inverni, aridi di sole
E’ avvolta dai profumi,
la mia terra,
sprigionati dalle bacche di ginepro,
nelle estati, tiepide di vento.
Ha la forza dei monti,
la mia terra,
nella pietra è intagliata
la sua storia.
Ha ferite profonde,
la mia terra,
trincee scavate
nei cuori della gente.
E’ terra di confine,
la mia terra,
intrisa del sangue dei suoi figli,
caduti, in epoche lontane,
e del sudore di fatiche contadine
negli autunni, screziati dai colori.
E’ terra di emigranti,
la mia terra,
dolente di lacrime e d’addii,
nel sogno di ritorni mai avvenuti.
Ha un cuore di dolore,
la mia terra,
nascosto nelle pieghe
dei ricordi.
Ma rinasce a primavera,
la mia terra,
perché è nel pianto
che si genera la vita.

Spinta da un profondo sentimento identitario, questa poesia rappresenta un vero richiamo al rapporto uomo- terra. Figli di un popolo, appartenenti ad una identità territoriale, il costante richiamo alla “mia terra” ci riporta alla caverna primordiale, a quel luogo tutto nostro dotato solo di connotati positivi. Ed ecco che per la propria terra si soffre, si lotta, si muore, in un rapporto incomprensibile fatto di sottili richiami ancestrali. E questo lo si percepisce dal respiro degli alberi se quella terra è anche luogo di confine, dove la lotta è stata veramente vissuta…

IL SAPORE DELLE CAREZZE INVISIBLI

Lancia Marco | Campobasso

Accarezza,
poi assaggia,
ed ora assapora, assimila, poi respira e nutriti

del soffice riparo contro lo sconforto
offerto dal pelo commestibile
e dallo sguardo trascendente,
di uno stop mai così amico
e di un tartufo mai così dolce;
della tonica carezza e del solletico pungente,
proposte dalla pelle sinuosa dell’erba
e dai crini biondi del grano;

della cultura ancestrale, delle storie magiche e dei cantici infiniti
sussurrati, quasi come un respiro, con rispetto materno,
da bocche nascoste
tra le cortecce innevate e le chiome stanche.

Del sapore delle carezze invisibili della natura.

Ma dopo voltati e lancia uno sguardo
al cane sulla strada,
alle distese incendiate,
alle foreste cadute.

E prova a nutrirti,
a rinvenire lo stesso gusto,
in un tuo sguardo spento,
in una tua carezza ruvida,
o in una tua storia noiosa

E adesso,
trattieni le lacrime.

Profonda e molto ben strutturata. Dolcissime le immagini di una natura amica…tanto che ne puoi assaporare l’essenza rimanendo in armonia con essa. Ma quando questo sacro ed ancestrale equilibrio viene incrinato non ci restano che le lacrime difronte allo scempio causato dalla ignobile mano dell’uomo.

TERRENA AGONIA

Di Marco Ivan Francesco Giuseppe | Cammarata (AG)

Podere dei giusti di cuore,
sospesa nel baratro,
oh mia Terra,
chi mai ti ha ridotto così?
Eruzioni devastanti
e terremoti distruttori
e pioggia flagellante
non ti hanno neanche scalfita.
Chi si sarebbe aspettato
che il tuo figlio prediletto
sarebbe stato tanto folle
da distruggere sua casa e madre?
Nel mio animo, spero
che tutto questo ciarpame
non faccia diventare simile a lui
le verdeggianti gobbe
e le bianche, acuminate spine
e le acquose bisce.
Ma se mai il tuo debole cuore,
mia dolce Gea,
non sostenesse più il grave
fardello dell’umana specie,
ti ringrazio:
perché fosti
madre, che vuole solo il bene
dei suoi pargoli, trascurandosi;
perché fosti
padre, che insegna alla sua
prole l’affrontare le avversità;
perché fosti
casa, che non giudica i suoi
ospiti, li accoglie soltanto.

Il tema dello sfruttamento della Terra è qui affrontato con maestria ed originalità. È nella domanda iniziale che ruota il cuore del componimento: sembra così assurdo pensare che l’uomo stesso stia distruggendo la propria casa… E se anche la Terra dovesse cedere alla furia dell’uomo? Il poeta ringrazia timidamente per ciò che ha avuto e non accusa, non giudica ma si abbandona con essa.

LA VITA COME UN ALBERO…

Caminiti Melina | Santa Teresa di Riva (ME)

Non nasce per sua volontà,
ma perchè qualcuno lo vuole al mondo.
All’inizio è gracile,
ha bisogno di tante cure,
ma poi cresce..
Incontra il vento, la pioggia,
i fulmini, la tempesta..
E per difendersi
costruisce la sua corteccia.
La corteccia che avvolge il suo cuore,
che è tenero, delicato,
anche se vuol fare il forte.
E poi… più si fa grande,
più assume un aspetto serio,
più riceve meno cure,
eppure… giorno dopo giorno,
incontra difficoltà,
sempre più grandi,
perchè più cresce,
più ha responsabilità
verso il mondo in cui si trova.
Pian piano forma i rami, le foglie,
e grazie alla forza di crescere,
germoglia fiori splenditi che a loro volta
generano i loro frutti.
E poi arriverà qualcuno a prendere
quel frutto per formare una nuova vita.

L’autore oltre a trasmettere il messaggio evidentemente ecologico che traspare dalla poesia, coglie gli elementi comuni tra albero e vita umana: l’albero, solidamente radicato alla terra, da cui trae il nutrimento, si sviluppa armoniosamente fino a produrre frutti che una volta consumati dall’uomo saranno vitali. Così come l’albero non avrà futuro se non avrà radici solide nel terreno, non darà frutti se non viene curato e protetto, non ci può essere un futuro per l’essere umano senza un passato solido di tradizioni, né senza una continua attenzione al suo sviluppo individuale e nelle società. (Loredana Fulginiti)

OGNI INVERNO A SEGUIRE

D’Angelo Sergio | Chiaramonte Gulfi (RG)

Mi allontanerò dai tumulti del tuo corpo,
materia viva nel lamento dello specchio
che frantumerà facendosi forza,
fiati e ricordi.

Non mi stupirà più’ la tua voce, né l’irreversibilità dei tuoi baci.

Taceranno i tuoi occhi scritti a matita.
Sarai cemento scalzo tra gli interstizi
di basole e preghiere, orme di sofferenza muta
dove non parleranno più’ i tuoi passi.

Cancellerò ogni fermo immagine del tuo volto.
Chiusa lungo le linee delle mani, ti consegnerò all’altro versante del cuore.
Tra acacie e memorie svanirai con le prime piogge.
Nulla sapranno di te gli inverni a seguire.
Senza clamore, metterò nuove pagine a vecchi libri
così da capire qual è la direzione.

Al riparo da me stesso, ricomporrò vocaboli e valige.
Imbiancherò ogni tuo riflesso e con addosso altri luoghi
mi scorderò di te!

Il desiderio di liberarsi da un ricordo grave, che appesantisce ogni momento della vita quotidiana diventa così forte e lacerante che, o si soccombe, o si crea la svolta. In questo straordinario succo di emozioni la svolta è data dalla consegna all’altro versante del cuore, quello razionale, quello che ti salva dall’implosione del lutto. Ed allora ecco la rinascita, con nuove pagine e vocaboli nuovi, in cui la quotidianità si rinnova e rinasce sotto il candido bianco che crea la nuova dimensione del reale: ed è libertà dalla prigione del ricordo.

IL VENTO DELLA LIBERTA'

Palermo Francesco | Torchiarolo (BR)

Come cani dai mille guinzagli
respiriamo ansimanti
il nulla di ogni cosa,
occhi bassi in balia di comandi,
trascinando pesanti
corpi sazi e cuori affamati.
Un acre sapore ci rimane
di tutto e di niente
e piangiamo lacrime secche
nelle mute stanze dell’anima!
E’ triste il paradiso
delle coscienze silenti
e delle libertà comprate.
Non voleranno mai alti
gli aquiloni legati
ai fili arrugginiti di ferro.

Salvifico attendiamo un vento nuovo
che spazzi via, lontano,
l’eco di tante ipocrisie,
spegnendo le inutili parole.
Novelli Icaro,
come gabbiani gaudenti,
afferreremo quel vento,
con ali leggere per volare
e stoneremo il coro muto degli indifferenti.
Il vento della Libertà spazzerà
le nubi dei nostri cieli bassi
e incendierà di luce il buio delle menti!

Dominata dal soffio di quel vento di libertà che la pervade, fin dall’inizio mostra il cammino verso l’assoluto. Quei mille guinzagli che si trasformano in ali leggere dei gabbiani gaudenti diventano atto preparatorio alle coscienze silenti che con ali leggere stoneranno il coro muto degli indifferenti. E quanto è bella l’immagine di questo irrompere della libertà, dipinta come luce che incendia le menti… le menti degli eterni addormentati …

...e incendierà di luce il buio delle menti " Questo verso ha incendiato anche la mia mente. Prima ancora di soffermarmi sul suo significato mi è piaciuta molto la sua liricità. Ho riletto l'intera poesia più volte chiedendomi se l'autore fosse un uomo o una donna, ma non l'ho capito. Delicatezza e profondità viaggiavano insieme, versi limpidi e nello stesso tempo gravi a cantare l'anelito dell'Uomo da sempre: la Libertà, libertà intesa in senso ampio. Complimenti all'autore e grazie per l'emozione che mi ha regalato. ( Michele Limongelli )

LIMEN

Francioso Patrizia | Racale (LE)

E poi accade che
la brezza s’insinua nei capelli.
Il sole t’infiamma le guance
e gli occhi s’arrendono
a quel tepore che
con cura
nutre i tuoi pensieri.
Ti colma. Ti spoglia.
Nulla più segna la pelle.
Nulla scinde, costringe.
All’improvviso, nessun guscio più
ti contiene.

Come in un miracolo: il tempo si ferma. Con un incipit così evocativo ci si sente immediatamente catapultati in una dimensione nuova, ed è quella cura, racchiusa nel verso più breve, che porta il germe del rinnovamento, dato da un vero e proprio percorso iniziatico: il bruco diviene farfalla e non vi sono più confini … accade l’infinito…

ANIMA E CARNE

Moretti Andreina | Roseto degli Abruzzi (TE)

Quanto soffrirà Dio, nel trovarmi
precipitata tra le fiamme degli inferi,
in un luogo dannato e maledetto,
dove la perdizione aleggia come caligine?
Sospiri tormentati disperano l'aria,
lacrime di pena graffiano il silenzio,
fetore di morte avvolge l'agonia
come sudario.
Quanto soffrirà Dio nello scovarmi, incatenata nel sepolcro
mortalmente nuda, avviluppata
da serpenti velenosi?
Dio scenderà nel dolore abissale,
custodirà i miei occhi nei Suoi,
l'amore puro e verginale squarcerà le tenebre,
diradando l'oscurità mi preserverà
dal mio inferno,
varcherò la grazia
con l'anima e la carne impastate di Lui.

Prima davanti a tutte, “Anima e Carne” diviene l’inno della 4 edizione del Premio Enrico Furlini. Ricca di immagini suggestive, semplice nel verso ma profonda ed immediata. Ben pesata nella scelta delle parole che scivolano armoniche nei versi, musicali e pacati anche quando vogliono portarci nei meandri cupi dell’Inferno. Sublime l’immagine di Dio che scende negli inferi e soffre per il destino degli uomini… facendosi carico dei nostri dolori… straordinario l’ultimo verso in cui la spinta emotiva diviene estatica.

LA VERA GIOIA

Ruscitti Claudia | Montesilvano (PE)

Ho rubato le ali a una rondine
per raggiungere le verdi rive
della speranza e rifiorire
i miei sogni a uno a uno.
Ho catturato melodie smarrite
per confortare le ore solitarie
con ghirlande di dolci suoni.
Ho colto l’armonia della rosa,
l’estatico profilo della ginestra
per ritrovare il miraggio della luce,
fragile bellezza per spiriti appassiti
nel buio feroce dell’indifferenza.
Ho distillato gocce di luna nuova
per farne gemme di brevi illusioni
e smorzare il dolore della vita
impresso nei nostri cuori in riserva…
ma è la Sua mano tesa
che mi ha donato la vera gioia,
fragrante più dei gigli della valle,
fulgente pioggia d’oro tra le ciglia,
fonte d’acqua viva che sempre disseta:
l’amore eterno di padre.

Armonica e brillante. Meraviglia di immagini e suoni. Ci conduce ebbri di gioia nelle visioni più dolci di un paradiso da sempre sognato … Conclude il cammino introspettivo del viandante, attraverso terre meravigliose e sogni estatici. Nessuna immagine potrà mai raggiungere le “ghirlande di dolci suoni” o la straordinaria sensazione che si prova nel chiudere gli occhi e leggere “… ho distillato gocce di luna nuova”. Una vera esplosione di felicità.

RIMPIANTO

Bognanni Santina Donatella | Caltanissetta

Rimane dentro
l’odore pungente
del mai vissuto,
la sete del domani
mai più arrivato,
il dolore del presente
che
rimarrà futuro.
E si traballa
in quella solitudine invadente
che
diventa nostalgia
sospesi
a chiedersi
qual è il confine
tra l’aprire e chiudere
un ricordo.

Per la sensazione del mai vissuto, della sospensione che guida l’intero componimento. Mite, decisa e scultorea. Ci avvicina al mondo dantesco attraverso la sua indecisione … e per questo, consegnata alla cornice degli accidiosi del Purgatorio di cui diventa inno. Ottima la metrica: nei due “Che” solitari cade inesorabilmente, creando il senso di indecisione che ci offre.

MIA MADRE

Faccchetti Luisana | Zevio (VR)

Ero fuoco
quando i papaveri
aperti e rossi
macchiavano il grano
polvere di mietitrebbie
e io caldo sudore
forza come di uomo
oche da nutrire
troppi gatti in cortile
e cesti di baccelli gonfi.

Era fresco
lavare al fosso
mastello di alluminio
piedi scalzi e varici
e bambini da sgridare
pescavano girini
con i cappelli della festa.

Poi altri luoghi e stagioni
ed ora questi occhi
senza luce e rimedio
inquiete fredde le mani
brancolano
senza trovare.

E il bisogno mi umilia:
una vita piena
di sguardi cibo lavoro
ed ora qui in attesa di aiuto

non ho scorte di forza
né riesco da sola
a sgranare fagioli, giornate.

Un componimento dai tratti onirici, quasi un quadro di Manet, fatto di tante pennellate decise, che balzano fuori dalla tela, coloratissime e vive… e sonanti come lo è la vita in tutte le sue età.

INNAMORATA DELLA VITA

Giorgi Laura | Grosseto

Voglio ritrovare la mia innocenza.
Occhi non più ridotti a fessure,
ma spalancati sul mondo
con infantile stupore.
Voglio guardare i cerchi
nell’acqua raggiungere
la riva ad uno ad uno.
Voglio danzare sopra lo scricchiolìo
colorato delle foglie autunnali,
attraversare indenne i temporali
estivi, svernare accanto ai fuochi
accesi dentro e fuori,
inanellarmi di fiori le dita,
farmi orecchini di ciliegie
e innamorami della vita.

EMMA

Claudio Bellini | Valenza (AL)

Emma cavalca il maestrale
che travolge
i suoi pensieri,
Emma sogna bagliori di neve
e non può raccontare a nessuno
che li sente veri.
E del suo mondo
racchiuso nel sorriso
ne faranno labirinti di follia,
sommeranno l’anima con il cuore
ed il risultato è già deciso,
sarai pazza per sempre
nel sangue e nel viso.
Emma non odia
e non prova sentimenti alieni,
dialoga con gli angeli
e quando scende la sera
racconta alle stelle
le sue storie che finiscono
ai confini dell’arcobaleno.
Emma la pazza,
Emma la malata di mente,
Emma prigioniera
del nostro giudizio indecente.